Lo strappo
Stanotte non riesco a dormire. Da un paio di giorni gli abbracci di Miss Elmaz si sono fatti più rari e più intensi. Mi dice qualcosa di nuovo, che io naturalmente non capisco, in un modo che non riesco a decifrare. Sembra felice per me (il suono della sua voce me lo rivela) ma lo è in tono dimesso, quasi cauto, come se l'equilibrio delle sue emozioni fosse sul punto di rompersi.Chiama il mio nome accennando ai giorni che verranno. Ed io non so perchè.
Anche il latte del mattino, che succhio con avidità dal piccolo biberon tenuto caldo da un calzino bianco, ha un'altra consistenza, più vischiosa e faticosa, direi. Simiret gioca un po' con me ma è come se avesse capito qualcosa in anticipo. Mi strappa dalle mani la bambolina di pezza e mi guarda severa e un po' minacciosa, come fosse la prima volta che le faccio un dispetto, oppure l'ultima.
Più tardi una delle tate mi cambia e mi infila un paio di calzoncini puliti, che non ho mai visto, ed anche una maglietta nuova.C'è qualcosa che non va. La signora Elmaz mi prende in braccio. Il suo odore è quello di sempre, dolce e speziato, ma il suo abbraccio è più forte, adesso, ed il suono delle sue parole melodioso e rassicurante. Perchè? Cosa sta per succedere?
Poi il mondo che conosco si rovescia e cade di schianto.
E' il mio stomaco a gridarmelo, un'intuizione potente ed improvvisa che mi stringe le viscere, appena vedo i due sconosciuti: un uomo ed una donna che ci vengono incontro. Hanno l'aria stanca e un po' spaventata e la pelle chiara, di un colore che non ho mai visto prima.
Non so perchè ma l'istinto mi dice di strillare. Ed io urlo. Con tutta la forza che ho accumulato, per questo giorno di cui non sapevo, nei quindici mesi della mia vita. Piango il dolore del mio primo abbandono, che ho vissuto appena nato ma capirò solo più tardi. Piango le mani di Miss Elmaz, che ora mi carezzano la testa per calmarmi e che fra qualche minuto mi lasceranno andare. Piango l'odore dell'ospedale in cui sono nato, le luci del posto di polizia, il viaggio in un'altra città, i giorni senza una casa, le braccia che mi portano via e mi consegnano ad altre braccia. Piango le mura dell'orfanotrofio: le uniche di cui sappia o ricordi ma dalle quali non vorrei mai uscire perchè non conosco nient'altro.Urlo la perdita di questa piccola felicità ed il terrore di una nuova, ignota, solitudine.
La sconosciuta mi porge un piccolo cane di pezza e tenta, incerta, di prendermi in braccio. Ma io non voglio, lei non è di qui e qui per me è tutto, perciò strillo più forte e mi avvinghio a Miss Elmaz.
Solo che ora è lei, nel suo modo gentile ma fermo, ad allungarmi verso la sconosciuta mentre l'uomo alle sue spalle accenna un sorriso tremolante. La donna mi prende fra le sue mani e mi stringe a sè, vacillando leggermente, come se avesse paura di farmi male. Capisco la sua incertezza e strillo ancora più forte, forse mi lascerà andare, forse mi riporterà da Miss Elmaz e allora piango anche di più, sputo la mia rabbia e la mia paura dentro la gola del mondo.
La donna ha un odore diverso da quello di Miss Elmaz o delle tate, è un odore elettrico e pulsante, un po' acre, coperto da un aroma artificiale, che non viene dal suo corpo ma tenta di nasconderne l'afrore, quasi ne avesse vergogna. La sua testa profuma di polvere e fiori ed è calda, il suo collo, su cui tenta di spingere piano il mio viso solcato di lacrime, odora di un'altra città ed ora che la mia bocca lo sfiora sento che la sua pelle ha un sapore un po' amaro. Lei si dondola piano e dice qualcosa in una lingua strana, parole che sento a malapena perchè le mie grida spazzano via ogni altro suono. Non so cosa voglia da me, non so perchè mi voglia, io adesso so solo del mio spavento e delle urla che trafiggono l'aria.
L'uomo che la affianca, adesso, mi accarezza la schiena e sussurra altre parole sconosciute e leggere nella sua lingua lontana. Poi lo vedo firmare alcuni fogli mentre Miss Elmaz è sparita, forse per sempre. Quando usciamo assieme sulla strada di terra e pietre che fiancheggia l'orfanotrofio io sto ancora piangendo con l'ultimo fiato che mi resta. Prima che arrivi l'auto che ci porterà via mi addormento, stremato per la fatica, fra le braccia della straniera.
Il sonno che dormo adesso è il più nervoso e pesante di sempre. Le buche che tormentano il viaggio dell'auto che ci porta lontano sono tutte affannose cadute, le braccia che mi stringono arti di creature soffocanti, l'odore delle vie della città, che entra dai finestrini, è il fiato rovente e polveroso di demoni che mi inseguono.
Quando mi risveglio sono in una camera di albergo, in un grande letto giallo, con i due sconosciuti al mio fianco che mi osservano sorridendo, inebetiti, nella penombra. Hanno entrambi gli occhi segnati e pesanti, un po' lucidi, mi pare. Non appena accenno un nuovo lamento la donna mi stringe a sè e mi culla con dolcezza mentre l'uomo sfiora con le mani la mia testa. Mi abbandono piano, sussultando ancora un po' di paura, riaprendo gli occhi di quando in quando per singhiozzare via altra stanchezza.
Riapro gli occhi che è già mattina. L'odore di questa donna che non conoscevo adesso è un po' cambiato e comincio a capirlo meglio. E' un profumo placido che sa di sudore e distanza, di attesa e di rabbia, di tenacia e di amore, di fatica e di gioia. Ha in sè la dolcezza di una felicità a lungo attesa ed il fondo amaro di un dolore assopito. E' un odore che mi somiglia perchè è cresciuto e maturato sull'assenza di qualcuno. Di un figlio per lei e di una madre per me.
Guardo negli occhi questa vita che altri hanno scelto al mio posto ed il mio istinto animale alla fine si quieta. Non posso sapere se sarò felice da ora in poi. Ma almeno, adesso, ho di nuovo una famiglia.
glom
Non ho parole, davvero.
Complimenti doppi (uno per la parola, uno per l'azione).
Luca