Viustel

Roy Lichtenstein - Hot Dog - 1964 E' successo anche questo: l'ultimo cordone ombelicale che ci teneva legati al lessico gastronomico dell'infanzia è stato reciso qualche giorno fa quando ho scoperto che in commercio esiste una gamma di insaccati che si chiama Wursteria.

Per quanto mi riguarda è una profanazione: il marketing si è impossessato anche di questo vocabolario familiare, quasi privato (se pure diffusissimo), che nebulizzava di umore esotico una modesta salsiccia di composizione incerta.

Da piccolo il Viustel era il massimo dell'esterofilia: proiettava una luce mittelleuropea (quando neppure conoscevamo l'esistenza del termine e, anche fosse, non avremmo saputo dire cosa significasse) sulla pizza margherita che all'improvviso si smaterializzava da Napoli per essere ribattezzata "Viennese"; nobilitava la più triste delle insalate di riso che, con i Viurste a bordo, acquisiva un'aura quasi proibita e le poche cucchiaiate impreziosite di rondelle rosate troneggiavano nella top-ten dei bocconi golosi. Per non parlare delle cene in cui IL piatto forte erano Vrustel e patatine, che nel nostro immaginario costituivano quasi una proiezione olografica in terra germanica (dalla quale sapevamo vagamente avere origine quella varietà di insaccato), non ancora resa incerta dalla colonizzazione americana del Tomato Ketchup che, poco pù tardi, nel buio periodo delle paninoteche, avrebbe cominciato a sgomitare nel vocabolario alimentare di adolescenti e famiglie collegate.

Diciamo la verità: se fosse stato semplice da pronunciare il Würstel sarebbe stato una salsiccia qualsiasi. La sua gloria e la bellezza del suo nome, fra noi bambini, derivava proprio dall'acrobazia cui costringeva la lingua per essere pronunciato. La natura misteriosa della sua composizione faceva il resto. Ridurlo a Viuste oppure Vurste o anche Vruste (la "l" finale era appannaggio solo dei glottologi più raffinati) era il riconoscimento della sua natura ultraterrena: quasi che il nome fosse reso impronunciabile per proteggerci dall'ira divina di una possibile profanazione.

Lo aveva capito bene la Senfter, uno dei più noti produttori alto-atesini, che aveva scelto Gustaf Thoeni come testimonial realizzando una campagna tutta giocata sulla pronuncia corretta della parola, ironizzando sulla difficoltà di articolarne il nome ed in fondo riconoscendo che era proprio questa difficoltà a nobilitare il prodotto.

Ma la Wursteria, no. La Wursteria sa da semplificazione gratuita, da sciatto declassamento, da appropriazione indebita, da furto lessicale.

Il V(w)iu(r)ste(l) era un'altra cosa: era il cibo degli dei.

che nel nostro immaginario costituivano... ovvero il mio

...che nebulizzava di umore esotico una modesta salsiccia di composizione incerta....del Tomato Ketchup che, poco pù tardi, nel buio periodo delle paninoteche...proiettava una luce mittelleuropea...Sono cose che misteriosamente accadono
come la comparsa dei biscotti Togo al cioccolato...Al tempo però le chewingum avevano un mucchio di sapori in più ...C’era chi si dava alle Stimorol danesi e chi si drogava con le Dentigomma che si trovavano solo in farmacia.

Ai Viustel e a tutti i compagni caduti bisognerebbe dedicare una piazza davanti ad un ipermercato.

Per capirne di piu'