Ancora un po' di vento nel respiratore di Karol
Prima di ridiscendere Karol pensò che la neve meritasse un'altra possibilità.
Era strano trovare quegli oggetti proprio sulla cima: non aveva mai visto nulla di simile. Sembravano provenire dal futuro. Intuì che quella strana apertura collegata al tubo zigrinato sarebbe potuta servire per inalare qualcosa. Posò le labbra sulla guarnizione in gomma ed aspirò piano, chiudendo gli occhi.
L'ossigeno rovesciò il suo cervello come un guanto da chirurgo sfilato in fretta e lo lasciò li: contratto ed irriconoscibile. Le immagini sepolte dalla fatica dell'ascendere ripresero nella sua mente il posto che loro competeva.
Gli apparvero, nell'ordine: i baffi di Samuel: il gatto di famiglia. Un pesce morto (forse un branzino) nell'acquaio della sua vicina di casa: la sig.ra Keller, il cui figliolo, Wilfred, era scomparso durante una spedizione militare. L'odore (si, gli apparve l'odore, in tutta la sua evidenza) della strada dietro la conceria di Paderborn, dopo un temporale. Il colore sbeccato sul muro di cinta attorno alla villetta di Gertrud, la sua prosperosa amante. L'ematoma violaceo attorno al collo del suo capufficio, aggredito da Jean Baptiste, il garzone della tipografia, risentitosi per un offesa personale.
E poi le tacche sul calcio del suo fucile (dieci, finalmente!) contemplate a lungo la sera prima di partire quando, dal campanile della chiesa, era riuscito nell'impresa di imporre sul destino dei passanti il suo malato capriccio di morte.
Immancabilmente, ogni tre settimane Karol saliva sul campanile ed attendeva, paziente, la sera. Mirava in un punto a caso e quando l'oculare del fucile si riempiva di sagoma umana tirava lentamente il grilletto.
L'ironia della sorte concedeva alle sue vittime una bizzarra piroetta prima di accasciarsi a terra. Ciò aveva impedito alla polizia di stabilire la direzione dei proiettili. Sapevano solo che provenivano dall'alto, come un segno di Dio. Se solo avessero approfittato della similitudine avrebbero fatto caso al campanile; invece si limitavano a scrutare i balconi delle case abbandonate, svuotate dalla carestia, attorno al piazzale: centinaia, tutti ugualmente colpevoli.
Conclusa la sua missione Karol aveva abbandonato Poderborn e si era diretto in Pakistan: l'altezza del campanile, moltiplicata per il numero delle sue vittime, non era bastata certo a riempire il vuoto verticale che sentiva dentro.
Pensò che Gertrud aveva fatto male a lasciarlo partire. Ora lui, dalla seconda vetta del mondo (si era riservato la prima per un eventuale rigurgito di orgoglio da placare) dominava l'orizzonte con il sorriso di chi non può più perdere.
Almeno per ora.