Tre metri sopra il fondo

The big shave

La profondità conta, eccome se conta.

A lungo ho pensato che avventurarsi "dove non si tocca" fosse più o meno sempre la stessa cosa: che il fondo giacesse a pochi metri dalla superficie piuttosto che a qualche centinaio non faceva differenza. Immaginavo che se uno doveva mantenersi a galla da sè lo potesse fare indipendentemente dalla quantità di acqua che lo separava dal fondo.

Solo che allora non tenevo conto del valore della complessità.

Certo, in condizioni di calma piatta e pari temperatura dell'acqua ed in assenza di altri elementi ostili (squali affamati, meduse migranti, moto d'acqua di passaggio) stare a mollo sulla fossa delle marianne non è diverso dal galleggiare in piscina. Però nuotare no: la qualità e la soddisfazione del nuoto sono strettamente legati alla profondità del fondale ed alla complessità che questa impone alla tua solitudine.

La profondità è una sfida essenziale per il nuotatore perchè impone una riflessione sulla grettezza e ristrettezza del proprio mondo di riferimento: la profondità affascina, inquieta, minaccia, rende curiosi, invita ed atterrisce, impone uno sguardo verticale che dà una nuova dimensione anche all'orizzonte più lontano e la complessità ne rappresenta la conseguenza più diretta. Perchè anche in presenza del nulla (acque sgombre, mari deserti) l'amplificazione dello spazio che la profondità impone alla superfice è già di per se il segno che le cose non possono e non debbano essere così semplici, ovvie ed evidenti.

Invece a me pare che qui ed oggi, nel triste e brutto paese che siamo diventati, si celebri la semplificazione (non la semplicità, che è altro) si amino i bagnasciuga ed i fondali da poco, prevalga l'idea rassicurante e meschina che il mare non valga la pena: meglio vedere il fondo, poggiare i piedi sulla sabbietta, credere che la piscina di gomma nel giardino sul retro sia tutto quello che merita la nostra attenzione, lo spazio da difendere, il perimetro "comprensibile" della nostra vita. Perchè capire è un concetto spaziale: comprendere è abbracciare con la mente, ampliare l'orizzonte, guadagnare spazio.

Non riesco ad individuare il momento preciso in cui sono cambiate le cose, eppure è successo. All'improvviso lo sforzo di chi vuole cercare di capire, nuotare in acque profonde, affrontare la complessità, nella perecezione del pensiero "vincente" è diventato oggetto di scherno. La cultura (perchè di questo stiamo parlando) si è trasformata in pochi anni da una occasione di crescita, miglioramento, persino di riscatto sociale in una fastidiosa ed inutile complicazione, un abbaglio, un inutile orpello, persino un ostacolo sulla strada, spianata dall'apparire, del successo individuale.

Si nuota oramai solo in superficie, si cavalca qualche piccola facile onda, salutando a riva: meglio non allontanarsi troppo, che il mare fa paura. Il mare è profondo e difficile da comprendere.

Meglio sguazzare qui, tre metri sopra il fondo.

splash

MI viene voglia di nuotare nelle acque dell'Oceano Indiano senza però conoscerne la fauna e la vegetazione che arricchisce e allo stesso tempo rende pericolosi quei fondali. Tuttavia, le acque dei nostri lidi hanno smesso di affascinarmi da tempo, dal momento cioè che ho iniziato a vedere noiose e omologate le spiagge, le acque e soprattutto i bar i chioschi e tutti i punti di ritrovo che abitualmente ri-scegliamo anno dopo anno. Ma a pensarci bene questa è la nostra fortuna, se tutti nuotassero i profondità cosa ci sarebbe mai da scoprire, quali occasioni si avrebbero di essere eremiti bagnati?